Antonio Pappano: Mozart Requiem
AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA
  Sala Santa Cecilia 
 Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Sir Antonio Pappano Direttore
  Ailyn Pérez Soprano; Marianna Pizzolato Mezzosoprano
  Antonio Poli Tenore; Vito Priante Basso
Ciro  Visco Maestro del  Coro
Wolfgang Amadeus Mozart
(Salisburgo  1756 - Vienna 1791)
Requiem in re minore
per soli, coro e  orchestra K. 626
Data di composizione
  1791
  Prima esecuzione
  Wiener  Neustadt
  14  dicembre 1793
  Organico
  Soli,  Coro,
  2  Corni di bassetto,
  2  Fagotti, 2 Trombe,
  3  Tromboni, Timpani,
  Organo, Archi
Il Requiem di Mozart
  di  Arrigo Quattrocchi
    Tratto  dal programma di sala dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
  
  Il  fascino del tutto peculiare che viene da sempre riconosciuto al Requiem in re minore K. 626,  è certamente legato al fatto che questa partitura è l’ultima del catalogo di  Mozart, a causa della prematura scomparsa del compositore. Dunque un lavoro  funebre che è intrecciato alle vicende della morte dell’autore; non sappiamo se  sia vero che, come affermarono a distanza di anni varie testimonianze  riconducibili alla vedova, Mozart avesse detto di comporre questo Requiem per se stesso; di  fatto è significativo che un frammento del Requiem venisse eseguito a una cerimonia funebre  svoltasi a Vienna a distanza di pochi giorni dalla scomparsa del compositore.
  
  Il  formarsi di una mitologia intorno al Requiem nasce dunque da questa coincidenza fra  lavoro funebre e morte prematura, per lungo tempo avvertita come misterioso  segno del destino.
  
Molti  altri misteri hanno però interessato fin dalle origini il Requiem, e  tuttora non appaiono del tutto chiariti. Singolari sono certamente le  circostanze della nascita della partitura. Nel luglio 1791 Mozart ricevette la  commissione per la stesura di un Requiem da parte di un intermediario  del conte Walsegg, un aristocratico prematuramente vedovo che intendeva eseguire  l’opera nella ricorrenza della scomparsa della consorte, attribuendosene  disinvoltamente la paternità. Tuttavia, secondo testimonianze sempre riconducibili  a Constanze Mozart, l’intermediario non avrebbe rivelato a Mozart l’identità  del committente, invitando anzi il musicista a non ricercarla; vero o non vero,  questo presunto anonimato del committente contribuì indubbiamente all’alone di  mistero sulla nascita del lavoro. Mozart poi, di ritorno da Praga dove aveva  curato l’esecuzione della Clemenza di Tito, attese alla partitura nei mesi di ottobre  e novembre, rallentando la composizione solo con il declinare delle sue  condizioni di salute.
Il  5 dicembre Mozart muore, lasciando incompiuta la partitura del Requiem;  e questa incompiutezza è all’origine di tutta un’altra serie di misteri. La  vedova Constanze, comprensibilmente desiderosa di riscuotere il saldo della  partitura incompiuta, affidò il completamento dell’autografo a musicisti legati  all’entourage del marito. Ad occuparsi di colmare le lacune fu  principalmente Franz Xaver Süssmayer, allievo del compositore, ma prima di lui  erano stati coinvolti altri due allievi, Franz Jakob Freystädtler e Joseph  Eybler, sotto il probabile coordinamento di un altro musicista vicino alla  famiglia Mozart, l’abate Maximilian Stadler. Tutti costoro furono legati da un  vincolo di segretezza; nessuno doveva sospettare che Mozart non fosse l’unico  autore del Requiem.
  
  È  solo nel 1825, quando ormai da molto tempo il Requiem era stato eseguito  e pubblicato, che vennero avanzati i primireali sospetti sul contributo  di altre mani nel completamentodella partitura, dando luogo a una  controversia che sarebbedurata per parecchi anni.In che misura  la composizione, che è ammirata e veneratacome una delle più alte del  suo autore, è effettivamente di Mozart?
  
  Questa  domanda è riecheggiata nei secoli, dal 1825 ad oggi, e si pone in modo  inquietante ai posteri. Ad essa ha cercato di rispondere in modo il più  possibile esauriente la ricerca musicologica, fino all’edizione critica curata  nel 1965 da Leopold Nowak, e poi al più recente studio di Christoph Wolff (Il Requiem di Mozart. La storia, i documenti, la partitura, Astrolabio,  Roma, 2006), imprescindibile punto di riferimento anche per queste note.
  
  Converrà  dunque riassumere la situazione oggettiva del Requiem, nella versione  completata da Süssmayer e altri, e consegnata dalla vedova al committente. Essa  si articola in otto differenti grandi numeri musicali.
nn.  1-2. Introitus e Kyrie
  L’Introitus è l’unica sezione della partitura interamente di mano di Mozart. Il Kyrie invece è autografo per le parti corali, mentre i raddoppi strumentali sono  stati realizzati nei giorni
  immediatamente  seguenti alla morte dell’autore da Franz Jakob Freystädtler, per una esecuzione  di tutto questo numero musicale alla cerimonia funebre svoltasi nella chiesa di  San Michele il 10 dicembre. In seguito Süssmayer aggiunse le parti di trombe e  timpani.
n.  3. Dies Irae
Si  tratta del numero musicale più vasto della partitura, diviso in sei sezioni  differenti (la cosiddetta “sequenza”). Le prime cinque sezioni sono state  composte da Mozart in forma abbreviata, ovvero con le parti corali e solistiche  complete, la linea del basso e alcune indicazioni di orchestrazione, più o meno  precise a seconda dei vari momenti. L’orchestrazione venne completata in un  primo momento da Joseph Eybler, quindi nuovamente realizzata da Süssmayer sulla  base del completamento di Eybler. Quanto alla sesta sezione, “Lacrymosa”, Mozart  ne scrisse solamente le prime otto battute; il rimanente venne completato da  Süssmayer. Un appunto di un tema di fuga su un foglio staccato suggerisce che  Mozart aveva pensato di concludere tutta la sequenza con una settima sezione,  una fuga sull’“Amen”; una soluzione che venne però scartata da Süssmayer, forse  per la sua eccessiva difficoltà.
n.  4 Offertorium
  La  situazione è la medesima dei primi sei numeri del Dies Irae. Il  completamento è stato iniziato dall’abate Maximilian Stadler e portato a  termine da Süssmayer.
n.  5 Sanctus – n. 6 Benedictus – n. 7 Agnus Dei
  Mozart  non compose questi numeri musicali, che vennero scritti da Süssmayer. Una  analisi dei materiali melodici di base di queste sezioni – nonché dell’“Osanna”  che chiude il Sanctus
e  il Benedictus – mostra delle corrispondenze che suggeriscono come  Süssmayer avesse a disposizione alcuni appunti che non ci sono pervenuti.
n.  8 Communio
  Mozart  non compose questo numero musicale. Süssmayer riprese testualmente la musica  dei nn. 1-2. Introitus e Kyrie. È difficile sfuggire  all’impressione che il Requiem, così come è arrivato ai posteri, si  allontani considerevolmente nel risultato da quelle che erano le intenzioni del  compositore. C’è, in primo luogo, un problema di architettura complessiva. Non  sappiamo se l’idea di riprendere, nella Communio, la musica di Introitus e Kyrie sia ascrivibile al compositore; certamente la progettata fuga  conclusiva del “Lacrymosa” doveva assumere nella partitura un ruolo di grande  rilievo, anche perché il soggetto di questa fuga può essere considerato una  trasformazione del motivo iniziale del Requiem. Ma anche i temi di Sanctus e Benedictus presentano corrispondenze di questo tipo, dando  l’impressione di una ferrea coerenza e unità concettuale nella partitura.  Proprio questi fattori – in secondo luogo – risultano fortemente compromessi  dalla realizzazione di Süssmayer, che semplicemente non aveva gli strumenti tecnici,  oltre che la fantasia inventiva, per elaborare gli appunti che aveva a  disposizione. La gratitudine dovuta dai posteri a
  questo  onesto artigiano non cancella purtroppo i suoi limiti. E tuttavia è  indiscutibile che, anche in questa veste compromessa, il Requiem appaia  come un capolavoro, a cui incompiutezza e ipotesi attribuiscono un fascino  ulteriore. Vi troviamo innanzitutto da parte dell’autore la ricerca di una via  nuova per lo stile chiesastico. Nelle numerose composizioni sacre degli anni  salisburghesi Mozart si era applicato soprattutto a rispettare i precetti  dell’arcivescovo Colloredo, che imponevano una grande stringatezza e cordialità  nella musica scritta per il culto. Nei pochissimi lavori sacri degli anni  viennesi, al contrario, egli tenne certamente presenti i precetti dettati dall’imperatore  Giuseppe II – cui nel frattempo era succeduto Leopoldo II – per una musica  sacra disadorna e di facile comprensione.
  La  nuova via di Mozart nel Requiem si basa però sull’antico, ossia su un  uso della polifonia e del contrappunto ispirato ai modelli barocchi. Lo studio  delle partiture di Bach e di Händel, la cui grandiosità nella scrittura corale  e orchestrale penetra fin nella Zauberflöte e nella Clemenza di Tito,  si palesa a maggior ragione nel Requiem.
  
  Non  a caso nei primi due numeri della partitura, Introitus e Kyrie,  l’influenza di Händel non è generica, ma riferita adue precisi modelli.  L’attacco dell’Introitus è infatti ricalcatosul Funeral  Anthem for Queen Caroline HWV 264; c’è però,nella partitura di  Mozart, una atmosfera sonora peculiare,legata in gran parte alle scelte  di strumentazione, dove gliunici legni presenti sono corni di bassetto  (della famigliadei clarinetti) e fagotti; di qui il timbro opaco e  spettrale,che intreccia polifonie opponendosi ai pizzicati degli archi.Si staglia come contrasto, poco dopo, il purissimo a solo disoprano  “Te decet Hymnus”. Ancora Händel, con il Dettingen Anthem HWV 265, è il modello  di uno dei momenti piùimpressionanti della partitura di Mozart, la  doppia fuga del  Kyrie, dove il carattere arcaico della scrittura  è significativamente sottolineato.
  
  Ancor  più che nei primi due numeri, si palesa nel terzo, Dies Irae, una delle  caratteristiche più distintive del Requiem: il fatto che il contrappunto  non sia riservato a determinate sezioni della partitura, ma innervi nella  sostanza gran parte di essa; non a caso il ruolo dei solisti di canto è  nettamente subordinato rispetto al coro, e, pur nell’incompiutezza, la parte  corale è sufficiente a restituire la potenza della concezione. C’è poi, da  parte dell’autore, la capacità di avvicendare i vari momenti della partitura secondo  una logica di contrasti che segue un preciso percorso interno di evoluzione.  Così la sequenza si divide in sei sezioni, fra loro plasticamente contrapposte  in quanto a scelte di organico e contenuto espressivo; il Dies irae,  interamente corale, è di impatto massiccio; sintetico, drammatico, ricco di  effetti figurati (“tremor”). Il Tuba mirum vede alternarsi i  quattro solisti (basso, tenore, contralto e soprano), che si uniscono solo al  termine; ma l’effetto folgorante è quello iniziale del trombone solista, che  dialoga con il basso evocando il giorno del giudizio. Il  Rex tremendae majestatis reca  nettissima l’impronta di Händel, nell’alternanza – poi sovrapposizione – dei  ritmi puntati
  degli  archi e della massa corale.
  
  Il Recordare, nuovamente affidato ai solisti, costruito secondo lo schema  ABA’CA”, è innervato da imitazioni di carattere arcaico, cui conferiscono  fascino peculiare le scelte timbriche – non a caso l’introduzione strumentale è  tutta di mano di Mozart. Il Confutatis contrappone coro maschile e  femminile nelle immagini dei dannati e dei redenti. Le otto battute superstiti  del Lacrimosa si interrompono al vertice del “crescendo”: la conclusione  funzionale di Süssmayer non compromette l’incanto sofferto della pagina.
  
  L’Offertorium si articola, come di consueto, in due parti, entrambe concluse dalla fuga  “Quam olim Abrahae”. Il Domine Jesu Christe ha una condotta  corale incalzante e agitata, di derivazione mottettistica; l’episodio “Sed signifer  sanctus Michael” passa ai solisti, e scivola direttamente
  nella  fuga; nettamente contrastante lo squarcio sereno dell’Hostias, dove la  scrittura corale omofonica è accompagnata dal fraseggio in sincopi degli archi.
  
  Rispetto  ai primi quattro numeri della partitura, la tensione si stempera fatalmente nei  tre composti
  da  Süssmayer. L’incedere solenne e corale del Sanctus è nel solco della  tradizione, il fugato
  dell’“Osanna”  scolastico e sommario. Il Benedictus, affidato ai solisti e perciò  intimistico, è singolarmente esteso e rifinito. L’Agnus Dei si basa sul contrasto  fra la duplice invocazione e la supplica “dona eis requiem”.
  
  Quanto  alla Communio, Süssmayer si limitò, come si è detto, a riprendere la  musica di Introitus e  Kyrie; una soluzione che può apparire  semplicistica, ma che lo stesso Mozart aveva adottato in altri lavori sacri,  come la Messa dell’Incoronazione K. 317, rispettando in tal modo, con il  ritorno della stessa musica iniziale, quella logica circolare, così propria  dell’epoca, intesa a ribadire i principi eterni della religione. Forse, più che  a questioni teologiche, la scelta di Süssmayer deve essere stata legata alla  fretta e alla consapevolezza della propria inadeguatezza.
  
Tuttavia  questo riapparire della musica dei numeri iniziali ha il merito di far  riassaporare all’ascoltatore consapevole di tutte le complesse vicende del Requiem di Mozart, dell’ambizione e della novità del suo progetto, dei problemi  legati all’incompiutezza, proprio quelle pagine che più strettamente manifestano  il pensiero del compositore e ne prospettano la forza concettuale ed  espressiva. Quale conclusione migliore, per il capolavoro incompiuto?