Antonio Pappano: Rachmaninoff Sinfonia n. 2
 AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA Sala Santa Cecilia
 Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Sir Antonio Pappano Direttore
Sergej Rachmaninoff
  (Oneg, Novgorod 1873 - Beverly Hills, California  1943)
  Sinfonia n. 2 in mi minore op. 27
  Largo. Allegro moderato
  Scherzo: Allegro molto - Trio: Meno mosso
  Adagio
Allegro vivace
Data di  composizione
  1906-1907
  Prima esecuzione
  Pietroburgo
  26 gennaio 1908
  Direttore
  Sergej Rachmaninoff
  Organico
  Ottavino, 3 Flauti,
  2 Oboi, Corno inglese,
  2 Clarinetti, Clarinetto basso,
  2 Fagotti, 4 Corni,
  3 Trombe, 3 Tromboni,
  Basso tuba, Timpani,
Percussioni, Archi
La Sinfonia n. 2  di Rachmaninoff
  di Arrigo Quattrocchi  
  Tratto dal programma di sala dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
  
  A più riprese, nel corso della  sua vita, Sergej Rachmaninoff fu vittima di profonde crisi creative che
  gli inibirono l’attività  compositiva per periodi di diversi anni. Ripercorrendo a ritroso queste crisi,
  Rachmaninoff fu incapace di  scrivere musica negli ultimi tre anni di vita, trascorsi presso la villa di  Beverly Hills dove il vecchio compositore aveva ricostruito un angolo della  vecchia Russia, e durante i quali si applicò solamente alla revisione del Quarto  Concerto per pianoforte. Ma anche nei primi anni del soggiorno negli Stati  Uniti, fra il 1918 e il 1926, il compositore era stato incapace di scrivere  musica; la fortuna straordinaria che subito arrise a Rachmaninoff nel Nuovo  Mondo, come pianista e compositore, era legata quasi interamente ai lavori  scritti prima di abbandonare la Russia alla fine del 1917, quando i bolscevichi  prendevano il potere cancellando per sempre quella
  società aristocratica che  costituiva anche l’humus culturale in cui il giovane virtuoso si era  formato ed affermato.
  
  Le tre opere liriche, le prime  due Sinfonie (su tre), i primi tre Concerti pianistici (su quattro), tutta la  musica da camera, quasi tutta la produzione pianistica vennero infatti composti  prima di quella data. E tuttavia già nei suoi anni giovanili Rachmaninoff aveva  subìto una lunga battuta d’arresto, causata dal trauma legato all’accoglienza  sfavorevole che era stata riservata alla sua Prima Sinfonia; la prima  esecuzione di questa partitura, effettuata a Pietroburgo nel 1897, costituì un  fiasco clamoroso, seguito da celebri stroncature (la più feroce fu quella di  Cesar Cui); una parte di colpa fu legata probabilmente alla cattiva esecuzione,  diretta da Aleksandr Glazunov, e ancora alla cattiva predisposizione del  pubblico pietroburghese verso un fenomeno musicale che era maturato  essenzialmente all’interno dei circoli moscoviti.
  
  Dopo i folgoranti studi al  Conservatorio della capitale, era al Teatro Bol’šoj che Rachmaninoff, appena  ventiquattrenne, aveva colto una grande affermazione con la sua opera Aleko, nel 1893.
  
  Lo shock dovuto al fiasco  della Prima Sinfonia doveva ripercuotersi in tre anni di inattività  compositiva, poi, grazie anche alle cure dello psicologo Nikolai Dahl, in un  cauto ritorno alla scrittura. Nel 1904 Rachmaninoff è alla guida dell’orchestra  del Bol’šoj, ma il suo interesse verso la composizione, confortato dal successo  del Secondo Concerto, gli fa abbandonare ogni incarico fisso,  considerato troppo oneroso. È durante il biennio 1906-1907, trascorso in gran  parte a Dresda,
  che matura nel compositore l’idea  di tornare a scrivere una Sinfonia; la partitura venne terminata nel 1907 ed  eseguita per la prima volta a Pietroburgo il 26 gennaio 1908 (8 febbraio per il  calendario giuliano, occidentale) sotto la direzione dell’autore. Il caloroso  successo incontrato da questa Sinfonia n. 2 in mi minore op. 27 ha  dunque, per Rachmaninoff, la funzione di sanare definitivamente una ferita.  D’altronde questa partitura, segnata dagli ideali espressivi del
  post-romanticismo, si inserisce in  modo autorevole nel solco di una tradizione lunga e illustre. L’esempio di Čajkovskij  e di Rimskij-Korsakov, di una musica fermamente legata al sistema tonale, volta  a stabilire un diretto contatto fra sentimento creativo, espressività e comunicazione,  abilmente giocata sull’impatto emotivo verso l’ascoltatore, è centrale; non a  caso la partitura – che si articola nei quattro movimenti classici, con un  tempo lento in terza posizione – sembra ispirarsi direttamente all’esempio del  sinfonismo di Čajkovskij nell’adesione al principio di una interna
  evoluzione, basata sulle  trasformazioni di un tema di base, una sorta di “motto”.
  
  Non a caso  l’introduzione lenta del primo movimento (Largo) è basata tutta su  questo “motto”,
  una melodia di sette  note, forse tratta da un canto liturgico ortodosso, che viene esposta subito  nei bassi, ed è poi protagonista di un procedimento di climax e anticlimax che coinvolge tutta l’orchestra, puntando soprattutto sul lirismo dei violini.  Comincia così la vera e propria esposizione (Allegro moderato),  il cui primo tema dall’andamento di ballata, esposto dai violini sul sostegno  dei legni, deriva da una trasformazione del “motto”; manca in questa sezione  una vera e propria dialettica tematica (il secondo tema è più passionale e frammentario),  e il succedersi delle varie idee ha piuttosto la funzione di illuminare  diversamente un medesimo principio espressivo; gli impasti dei fiati, il canto  dei violini si spengono poi nella frase espressiva dei violoncelli. Per  converso la
  sezione dello  sviluppo, aperta dal primo violino solista, non vede la netta affermazione di  un tema, ma piuttosto il continuo e inquieto riaffiorare di frammenti, secondo  il processo di
  tensione-distensione  della frase: si stagliano a tratti gli interventi degli ottoni. Come nella Patetica di Čajkovskij, la riesposizione non si  sofferma sul primo tema, ma dona spazio al secondo,  per sfociare in una coda affermativa anche se forse troppo  serrata nell’equilibrio della costruzione.
  
  In seconda posizione troviamo uno Scherzo il cui tema principale prende spunto dal Dies irae gregoriano,  autentico fil rouge di tanta produzione sinfonica e sinfonico-corale  dell’autore
  (appare infatti nel Poema  sinfonico L’isola dei morti, nella Cantata Le campane, nella Rapsodia  sopra un tema di Paganini per pianoforte e orchestra, nelle tarde Danze  sinfoniche).
  
  Questo movimento coniuga insieme  contenuto fantastico e andamento di marcia, interrotto a guisa di parentesi da  una lunga melodia lirica dei violini. La sezione centrale del tempo, una sorta  di Trio, consiste in un moto perpetuo fortemente ritmato e con aspetto di  fugato, che scivola progressivamente verso la riesposizione. Nella coda spetta  agli ottoni riecheggiare frammenti del “motto”, prima che il movimento si  spenga nel silenzio.
  
  Pagina chiave della Sinfonia è  però soprattutto il movimento lento, singolarmente esteso e diviso in tre  sezioni principali. Vi troviamo all’inizio il tema principale accennato dai  violini, cui fa subito seguito una lunga cantilena del clarinetto; crea un  contrasto la sezione centrale, basata su dialoghi fra vari strumenti e nella  quale riappare all’inizio il “motto”; dopo una cesura, la riesposizione  costituisce una intensificazione espressiva dell’idea principale; è qui che  Rachmaninoff concentra
  tutto il proprio lirismo,  portando il suo materiale verso una progressiva estenuazione.
  
  Il principio della costruzione  ciclica della Sinfonia trova ovviamente la propria logica affermazione nel  finale, dove riemergono a tratti temi già apparsi nei tempi precedenti, dal  “motto”, allo Scherzo, al tempo lento; non a caso Rachmaninoff sceglie  qui la forma del Rondò, più adatta all’avvicendamento di varie idee secondarie  rispetto ad una idea principale.
  
  L’enfasi vitalistica di questo  movimento sembra richiamarsi però, più che ad autori russi, alle tecniche  orchestrali di Richard Strauss, mostrando Rachmaninoff  bene attento a tutto quanto succedeva sulla  scena europea (d’altronde la Sinfonia venne scritta a Dresda, città così legata  a Strauss). La seconda idea del finale, che si contrappone per il suo carattere  passionale al vitalismo dell’idea principale, dà luogo alla conclusione trascinante,  entusiastica, perfettamente calibrata in
  tutti gli effetti retorici, con  adesione convinta alle poetiche postromantiche.