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Il Duomo di Napoli

Data: 18/09/2013

San Gennaro proteggici tu!

"Il luogo dove oggi si erge maestoso il duomo ha ospitato fin dall’antichità numerosi edifici sacri: svariati templi pagani prima e successivamente l’oratorio di Santa Maria del Principio, che la leggenda vuole fosse officiato dal primo vescovo della città Sant’Aspreno, la basilica costantiniana di Santa Restituta, la Stefania, il battistero di San Giovanni in Fonte, vari oratori e cappelle. Una parte di questi edifici preesistenti ancora sopravvive inglobata nelle fabbriche dell’attuale cattedrale e dell’episcopio; gli altri monumenti sono andati perduti nelle risistemazioni dell’area succedutisi nel tempo, ne resta memoria solamente dalle fonti e dagli scavi effettuati in loco.

Alla fine del XVII secolo risalgono delle annotazioni del canonico Carlo Celano. Questi scrisse che durante la preparazione del cenotafio del Cardinale Antonio Pignatelli (1686-1691), diventato papa con il nome di Innocenzo XII, dietro suo invito, nel 1687, scavando tra il pulpito e il trono marmoreo dal lato del transetto sinistro, si rinvenne a quattro palmi di profondità un pavimento “di lapilli battuti, che da noi viene detto astrico”. Scavando ancora per tre palmi si rinvenne un’altra pavimentazione a mattoni, e dopo altri cinque palmi all’incirca “un pavimento di marmo cipollazzo e bianco” , inoltre osservò tracce di murature in laterizio e una pavimentazione in opus vermiculatum ricoperta poi dalla ripavimentazione del duomo.

L’intera insula del duomo ha subito nel corso della sua storia molti e non sempre riusciti restauri, seguiti alle numerose eruzioni del Vesuvio o a disastrosi terremoti. Come esempio basti pensare alla Cronaca del Villani: questa ci rende noto che il cantiere del duomo si era chiuso da pochi decenni, quando nel 1349 un grave sisma fece crollare la primitiva facciata di epoca angioina con la torre campanaria.

Angelo di Costanzo ci narra che nel 1456, durante il periodo del regno degli Aragonesi, un nuovo terremoto “fece cadere in Napoli l’arcivescovado”. San Giacomo della Marca, popolare predicatore francescano e testimone oculare dell’evento, ci ragguaglia intorno alla gravità dell’evento e alle conseguenze sulla vita cittadina: 62.000 case lesionate o distrutte e circa 130.000 vittime. Inoltre crollò nuovamente la torre del duomo e si ruppero moltissime suppellettili sacre; solo le ampolle del sangue di San Gennaro miracolosamente scamparono: furono salvate da una trave che cadendo obliquamente andò a creare una sorta di architrave sopra di loro. L’arcivescovo Alessandro Carafa (1484-1505) congiuntamente al Pontefice Innocenzo VIII (1484-1492), appartenente alla famiglia Capece Minutolo, ne patrocinarono il restauro: per rafforzare e consolidare la struttura muraria: furono ristretti le grandi finestre e furono divisi alcuni vani.

Il terremoto del 1688 ebbe effetti devastanti sulla cattedrale. I cerimonieri della chiesa trascrissero nelle loro note che “cascò tutto il pulpito, buona parte del muro e della croce nella parte sinistra, si spaccarono ambedue le lamie delle navi, nella chiesa non si poteva officiare”.

A ogni sisma seguivano lavori di restauro più o meno accurati, tuttavia spesso questi non impedivano il riaprirsi delle lesioni in occasione dei successivi terremoti, come puntualmente si verificò nel 1732, nel 1805, nel 1930 e persino nel 1980.

Le origini
La più antica cattedrale di Napoli fu fatta erigere e venne riccamente dotata dall’imperatore Costantino I (306-337), non si conosce la data precisa ma sicuramente dopo la pace della Chiesa. Sorse sull’area di un tempio forse dedicato ad Apollo.

Non è nota l’intitolazione di questa prima cattedrale; secondo alcune fonti sarebbe stata dedicata al Salvatore secondo altre ai Santi Apostoli. Tra la fine dell’VIII secolo e l’inizio del secolo successivo prese il titolo di Santa Restituta in memoria della vergine e martire africana, le cui reliquie giunsero in Campania portate nel 439 dagli esuli della persecuzione del re Vandalo Genserico.

Dalle fonti si apprende che una seconda cattedrale fu costruita, nell’ambito della stessa area urbana, dal vescovo Stefano I (499-501). Sappiamo che aveva l’abside orientata ad oriente, che fu dedicata al Salvatore, e la data della dedicazione secondo il calendario marmoreo cadeva il primo dicembre; è nota tra gli storici con il nome del fondatore: Stefania. Di questa monumentale basilica si sa poco, e le scarse notizie sono affidate per lo più al Liber pontificalis. Era unita alla Cattedrale costantiniana da un atrio comune quadriportico decorato a mosaico. Nelle cronache coeve venne magnificata e definita come opera “di meravigliosa bellezza”.

Era parallela a Santa Restituta, divisa da questa da una strada di epoca tardo imperiale di cui resta ancora qualche traccia, e dal complesso battesimale di San Giovanni in Fonte. Le due cattedrali erano gestite da due cleri distinti ma amministrate da un unico vescovo. La sistemazione delle due chiese fa presumere che ci si trovi dinnanzi ad una particolare situazione chiamata a “basiliche doppie”, di cui ci restano testimonianze nei complessi episcopali di Treviri e di Aquileia. Secondo il Farioli (1978) alla duplicità delle basiliche avrebbe corrisposto una duplicità di funzioni liturgiche: chiesa per la liturgia festiva la maggiore (Santa Restituta) e chiesa per la liturgia feriale la minore (Stefania). Quest’ultima veniva anche definita come domestica ecclesia in quanto annessa alla residenza episcopale. Sappiamo inoltre che l’abside era decorata da un mosaico raffigurante la Trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor, voluto dal vescovo Giovanni II (533-555).

Verso la fine dell’VIII secolo la Stefania fu distrutta, forse nella notte del sabato santo, da un incendio causato da un cero pasquale. Il vescovo Stefano II (767-800) a sue spese la ricostruì a tre navate, scandite da sei colonne per lato. Altre fonti retrodatano di alcuni anni la sua distruzione e ricostruzione attribuendola sempre a Stefano II ma quando ricopriva ancora la carica di Duca della città (755-766); questi fu il primo Duca di Napoli resosi indipendente da Bisanzio e si tramanda facesse parte della famiglia Capece Minutolo.

A metà del IX secolo il vescovo San Giovanni IV lo Scriba (842-849) collocò nella Stefania i resti mortali dei vescovi suoi predecessori prelevandoli dalla cosiddetta “cripta dei vescovi” delle catacombe di San Gennaro a Capodimonte; le tombe erano ornate da immagini raffiguranti i singoli presuli.

La fabbrica del Duomo
La costruzione della cattedrale durante il dominio degli angioini intaccò in varia misura le due preesistenti basiliche: Santa Restituta fu notevolmente accorciata dall’eliminazione di alcune campate, la Stefania venne completamente demolita, perché coincise con lo sviluppo architettonico del transetto del nuovo edificio sacro.

I rimanenti terreni ed edifici su cui andò a prendere corpo la fabbrica erano di proprietà della famiglia Capece Minutolo, al tempo ancora conosciuta come famiglia Capece, poi dall’arrivo degli Anjou Minutolo, proprietaria di gran parte dell’insula interessata dall’imponente edificio; gli alti prelati della famiglia, Sommi Pontefici, Cardinali e arcivescovi, contribuirono in maniera decisiva alla realizzazione del Duomo finanziandone la realizzazione per buona parte con risorse personali.

In un documento del 1299 Carlo II di Anjou rivendicava al Suo Regno la fondazione della nuova cattedrale di Napoli. Sappiamo infatti che per la costruzione della nuova fabbrica impose il tributo di un 44° di grano alla settimana per ogni famiglia. Ma verosimilmen­te essa fu iniziata precedentemente durante il Regno del fondatore della dinastia angioina, Carlo I. Le parti più antiche della chiesa forse risalgono agli anni Settanta del XIII secolo: la tribuna e le cappelle vicine. Tali ambienti, sebbene rimaneggiati più volte, mostrano ancora la felice mano dei maestri del gotico transalpino venuti a Napoli a seguito degli Anjou.

La costruzione proseguì durante il regno di Carlo II (1285-1309) e di Roberto (1309-1343), sotto cui probabilmente va attribuito il completamento dell’edificio. Gli artisti ed architetti impiegati furono all’inizio prevalentemente di origine francese, ma nel corso degli anni vennero sostituiti da locali o italiani in genere.

Nel 1314 la Cattedrale fu solennemente dedicata all’Assunta ad opera dell’arcivescovo Umberto d’Ormont (1308-1320), originario della Borgogna. Tale dedica fu confermata nella consacrazione della chiesa, avvenuta il 28 aprile 1644 ad opera del Cardinale Ascanio Filomarino (1641-1666).

É da segnalare però che il canonico Carlo Celano riteneva plausibile che i lavori fossero iniziati durante il regno degli Svevi."

Tratto da chiesadinapoli.it

26/05/2014

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