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La legge sull’omicidio stradale finisce sotto la lente della Corte Costituzionale

In discussione alcuni aspetti del regime delle sanzioni accessorie

11-06-2018 13:05

La legge sull’omicidio stradale finisce sotto la lente della Corte Costituzionale

 

 

La legge sull'omicidio e le lesioni stradali gravi finisce sotto la lente della Corte Costituzionale. A denunciarne i profili di legittimità è stato il Tribunale di Forlì (ordinanza del 26 febbraio 2018), fatalmente la stessa città da cui partì, da parte dell'ASAPS Associazione Sostenitori Amici della Polizia Stradale, insieme alle associazioni Lorenzo Guarnieri e Gabriele Borgogni di Firenze  il più forte pressing sul Parlamento per ottenere norme più severe a tutela della vita umana sulle strade.

In discussione non è la legge in sé, ma piuttosto il regime delle sanzioni accessorie (cioè quelle di carattere amministrativo) collegate alle nuove fattispecie di reato stradale, poco rispettose  della “regola dell'equilibrio”: principio naturale alla base di una giustizia giusta oltre che di ogni rapporto sociale.

Così, se è giusto ritirare la patente a chi per negligenza causi lesioni gravi o gravissime ad un altro utente della strada, non appare equilibrato applicare lo stesso periodo di revoca per ben cinque anni, indistintamente, a prescindere dalla gravità del fatto.

Il Legislatore – ha sostenuto il giudice remittente – “giungendo ad applicare la medesima sanzione accessoria a condotte di offensività e grado di colpa di livello diverso, ha disatteso i criteri di ragionevolezza e di proporzione: infatti, ad una condanna per lesioni stradali gravi – ossia per un reato punito con la pena della reclusione fino a sei mesi nell’ipotesi in cui l’evento sia determinato da un comportamento concorrente della persona offesa (ipotesi di cui al comma 7 dell’art. 590-bis c.p.) – consegue la revoca della patente di guida per cinque anni, ossia la stessa applicata nelle ipotesi aggravate del medesimo articolo e nel caso di omicidio stradale, per il quale può essere comminata la reclusione fino a diciotto anni”. Non occorre scomodare i grandi del diritto per capire che equiparare, in termini di revoca della patente, chi uccide a chi procura una ingessatura non corrisponde a quei criteri di ragionevolezza, patrimonio della logica comune ancora prima che della norma dettata dall'art. 3 della Costituzione.

L'ASAPS  aveva sollevato il problema già durante l'iter di approvazione della legge: sarebbe bastato – come suggerì ai parlamentari il presidente dell'associazione Giordano Biserni - utilizzare la formula “sospensione fino a cinque anni” piuttosto che la previsione secca di “cinque anni” che non lascia alcun margine di discrezionalità al giudice. Ma il Governo aveva posto la fiducia per due volte costretto per garantirne l'approvazione ad utilizzare, in sostanza, la formula “prendere o lasciare”.

Ora la palla passa alla Consulta perché il Giudice di Forlì, seguito peraltro nella medesima iniziativa dal Tribunale di Torino, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 222 del codice della strada nella parte in cui prevede l’applicazione della medesima sanzione accessoria della revoca quinquennale della patente di guida a fronte di condanne per reati a condotte diverse sotto il profilo della colpa, della offensività e della pericolosità per contrasto con gli articoli 3 e 27, comma 3 della Costituzione.

Cjò detto l’ASAPS ritiene che, apportati alcuni necessari correttivi, l’impianto della  norma  mantenga tutta la sua efficacia anche nella logica di una più equa sanzione per tutte le ipotesi di Omicidio e lesioni stradali contenute nella legge n.41/2016, nuovo paradigma della sempre più dilagante violenza stradale.

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