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Guida autonoma, l’obiettivo si avvicina, prevista per il 2045

Per le automobili senza conducente servono ancora decenni, secondo la stima del Commissario Ue ai Trasporti

21-05-2018 06:00

Guida autonoma, l’obiettivo si avvicina, prevista per il 2045

 

Una ventata di entusiasmo per gli interessati alla guida autonoma: la vettura che vi porta la lavoro (e a molti toglie il lavoro) da sola si avvicina. Parliamo di auto “veramente” a guida autonoma,  quella che farà a meno di volante e pedaliera; senza confonderla con quelle che la pubblicità definisce tali, salvo poi corregger e precisare le affermazioni dopo l’ennesimo incidente.

A ravvivare l’attesa è il Commissario ai Trasporti dell'Unione Europea Violeta Bulc: intervenuta al londinese Future of the Car Summit, meeting organizzato dal Financial Times, la Bulc ha affermato come "in Europa la guida 100% autonoma non conoscerà la diffusione di massa prima del 2045". Ci arriveremo, è il messaggio, ma attraverso tappe intermedie in modo che la sicurezza si garantita. Forse perché è inutile puntare all’obiettivo Zero incidenti (Vision zero) autorizzando veicoli che non lo garantiscono in partenza, e per cui non può valere né la scusa della distrazione del conducente né la cattiva progettazione.

L'Ue ha individuato come prima data  il 2030: per quella scadenza, sulle strade e le autostrade europee il traffico sarà un miscuglio di automobili automatizzate e non, con diversi gradi di automazione. Saranno sempre veicoli son molti sistemi di assistenza al conducente (ADAS) ma la guida sarà totalmente sotto controllo umano.

Una decade più tardi, probabilmente molto di  più, si potranno usare vetture senza  volante e pedali. Gli esperimenti che oggi vengono svolti all'interno di campus universitari e altre strade pilota  esterne alla mobilità ordinaria si trasformeranno nell’uso corrente; anche perché i morti in veicoli considerati dal senso comune “a guida autonoma” cominciano a pesare.  Di sicuro dovranno essere prima emanate tutte le normative, verificati i veicoli secondo le normative, e verificato che i veicoli a guida senza conducente siano a INCIDENTI ZERO IN OGNI CONDIZIONE, vincolo irrinunciabile. Fatti salvi gli incidenti non prevedibili neanche dal più esperto e cauto automobilista, come un infarto del conducente o il crollo di un ponte.

UE mai come gli USA

A rimandare fino agli anni …anta  del XXI secolo l'avvento dei veicoli a “vera” guida senza conducente sarà il  vincolo  della  sicurezza. L'Ue ha intenzione di impedire che i morti negli incidenti provocati negli USA da prototipi si verifichino  in Europa: "Siamo contrari a gettare in pasto alla società nuove tecnologie per vedere l'effetto che fanno - sostiene la Bulc -, al momento le self-driving cars sono ancora disarmate verso numerose situazioni di mobilità. Penso alla sicurezza dei bambini, degli anziani e dei disabili. La guida autonoma sarà realtà, ma maturerà da un processo graduale".

Anche perché da un lato i veicoli a guida senza conducente costeranno certo di più degli altri, e la fascia a bassi redditi della popolazione non potrà permetterseli; dall’altro i primi mezzi dove sarà impiegata la guida senza conducente saranno realizzati con l’obiettivo di ridurre i costi del personale, che in genere oggi appartiene proprio alla fascia a bassi redditi, e occorrerà rendere graduale la sostituzione per evitare un “disastro occupazionale” simile a quello generato dalla meccanizzazione dell’agricoltura della prima metà del XX secolo, che ha desertificato le campagne italiane. Basti ricordare che la Provincia di Rieti perse di colpo nel 1960 quasi  due terzi dei suoi residenti, tutti ex-contadini emigrati verso le aree urbane in cerca di lavoro; e la popolazione è rimasta sostanzialmente stabile da allora.

La “gara” sulla ricerca

Tuttavia, per restare competitiva, l’economia UE dovrà investire nella guida autonoma, in termini assoluti, più di  Cina e USA. Il boom tecnologico delle tecnologie elettroniche e informatiche  di oggi è infatti figlio degli investimenti pubblici USA in ricerca di qualche decennio fa.

In una scena del memorabile film Il vigile, il disoccupato Otello Celletti, interpretato da Alberto Sordi, vaga senza meta nel quartiere; a un certo punto sbuca alle spalle di un tale intento a leggere il giornale, e visto un titolo sulla Cina, Celletti commenta tra l'ansioso e lo spaventato: “Se se movono quelli, che famo noi antri?”.

Era l'alba degli anni sessanta, i cinesi erano 600 milioni. La popolazione attuale è di 1,38 miliardi di persone e in campo scientifico la Cina è ormai il leader. La fotografia di questo mondo nuovo, e prevedibile  visto che segnali di mutamento c'erano già da diversi anni, è stata scattata dalla National Science Foundation degli Stati Uniti nel rapporto Science & Engineering Indicators 2016.

I tre poli della ricerca sono Nord America, con una spesa di 492 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo nel 2013 (pari al 29 per cento della spesa globale), Unione Europea (367 miliardi per 21,9 per cento), Asia orientale e Sudest asiatico, che insieme hanno speso 614 miliardi di dollari (36,8 per cento).  La spesa globale per la ricerca è stata di 1671 miliardi di dollari contro i 836 miliardi del 2003.

Da questi dati, l’Asia in ricerca spende quasi il doppio dell’Europa. Se poi si osservano gli andamenti nel tempo degli investimenti, tra il 2003 e il 2013 la Cina ha superato il Giappone, poi ha raggiunto  l'Europa (intesa nel rapporto come la totalità dell'Unione Europea, a 28 Stati membri; esclusa l’area russa), tre anni fa.

Tra il 2003 e il 2013, la percentuale sulla spesa globale in ricerca  delle economie di Asia orientale e Sudest asiatico (tra cui Cina, Giappone, Malaysia, Singapore, Corea del Sud e Taiwan) è passata dal 25 al 37 per cento. Nello stesso periodo, l'Europa è scesa dal 27 al 22 per cento, gli USA sono scesi  dal 35 al 27 per cento.

La Corea del Sud spende in ricerca il 4% del PIL, la Cina il 2%, entrambi in crescita. La UE meno del 2% stabile; l’Italia l’1,25%.

Situazione ancora più mutevole per il capitale umano: da più di dieci anni il numero di scienziati cresce, arrivando a 6,5 milioni.  La crescita più importante si è registrata in Cina, sebbene la crescita più rapida sia avvenuta in Corea del Sud, che tra il 2000 e il 2006 ha quasi raddoppiato il numero dei ricercatori.

Il primato di questa forza lavoro intellettuale è ancora dell'Unione Europea, con quasi due milioni di ricercatori, seguita dalla Cina, circa 1,5 milioni. Qualche anno fa la Cina ha superato gli USA, che oggi contano poco più di 1,2 milioni di scienziati. Dati i rapporti di popolazione, la UE dovrebbe moltiplicare ricercatori e investimenti. Ad esempio l'avvicinamento tra Corea del Sud e Russia si ha quando con la popolazione della Corea del Sud che è un terzo di quella della Russia, circa il rapporto UE-Cina.

Nella produzione scientifica la percentuale della Cina sul totale globale delle pubblicazioni è ormai uguale a quella degli USA (circa 19 per cento), ma il trend di crescita è esponenziale.

Che gli Stati europei possano finanziare una spesa in ricerca, in percentuale sul PIL , a livelli sud-coreani è possibile adottando  gli opportuni provvedimenti per reperire le risorse necessarie. E’ una “tassa per il futuro”, altrimenti c’è la quasi - certezza che tutte le vetture a guida autonoma, quando ci saranno, verranno fuori dalla UE. Il declino del settore auto in alcuni Stati, un tempo fabbricanti di auto e oggi solo importatori, era prevedibile e previsto, e si può ripetere.

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