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Più trasporti pubblici

La mobilità condivisa è uno dei mezzi per ridurre l’inquinamento e la congestione

10-05-2018 06:00

Più trasporti pubblici

 

Si può ipotizzare un futuro della mobilità fondato sul trasporto condiviso?   Probabilmente, nel leggere di autobus andati a fuoco, società che digitalizzano vecchi servizi incappando poi nei stessi problemi che i vecchi servizi avevano già affrontato e risolto,  la percezione è di scoraggiamento.  In Italia si pone l’accento sui (pochi)  malfunzionamenti dei mezzi pubblici, si osanna alla mobilità condivisa (sharing mobility) dimenticando che è cosa vecchia (anche se prima era senza telefoni intelligenti), si osannano le imprese di trasporto automobilistico privato (come Uber) che hanno il solo vantaggio di aver pensato di usare l’informatica mobile per prime, e quindi i cittadini quasi dimenticano che esiste una Rete che li serve  da quasi un secolo: quella dei trasporti pubblici, che sono condivisi per definizione, meno inquinanti per le economia di scala, meno congestionanti perché un autobus occupa lo spazio di tre automobili ma trasporta cento persone (nell’ora di punta anche di più, per ragioni incomprensibili a chi non abbia vissuto tale “pressante” esperienza).  Difatti, come misurato dall’Osservatorio Promotec, l’Italia è il Paese con il maggior tasso di motorizzazione in Europa: 62,4 auto ogni 100 abitanti. La Germania, seconda, ne conta 55,7 per 100 abitanti.

Nel nostro Paese sembra che la tecnologia sia applicata e applicabile solo alla  mobilità privata e urbana. Questo complice anche l’inerzia di Enti che non fanno sinergia, non si preoccupano di promuovere l’uso dei loro veicoli, si preoccupano poco del cliente; e complice anche l’approccio di molti italiani che vedono i mezzi pubblici come “di nessuno” quindi da vandalizzare liberamente, quando sono “di tutti” e quindi da curare al massimo. Esistono esempi  in Europa di servizi che facilitano l’uso del trasporto pubblico di  turisti e pendolari.

Esistono app, ormai in ogni grande città, dove  l’utente può conoscere il tempo di partenza, arrivo e percorrenza del proprio pullman, tram o metro; purtroppo mentre il privato guadagna per ogni servizio in più che offre il pubblico ha invece solo un costo in più, e questo scoraggia. Ogni servizio di taxi offre ormai le stesse prestazioni di Uber, e in più gli autisti di taxi passano un esame che richiede anche la fedina penale (negli USA le denunce note per molestie – stupri a conducenti Uber hanno superato il centinaio). Purtroppo la complessità della rete di trasporto rende difficile, anche perché non genera profitti ulteriori, unificare le informazioni tra rete ferroviaria, rete su gomma extraurbana, rete autobus urbani, rete metro e parcheggi, ma si tratta di reti imponenti. E qual è la prima causa dei ritardi dgeli autobus nelle città? La congestione dovuta al traffico dei mezzi privati!

Pochi ormai lo ricordano, ma durante la cosìddetta “austerity” i mezzi pubblici, senza veicoli privati a intralciare, avevano moltiplicatole corse, le strade erano invase dalla biciclette, e si respirava un’aria diversa.  Il termine austerity indica un periodo della storia a cavallo tra il 1973 ed il 1974, durante il quale molti governi dei Paesi occidentali, compreso quello italiano, furono costretti ad emanare disposizioni volte alla  drastica riduzione del consumo non essenziale di carburanti, in seguito alla crisi petrolifera del 1973.

Insomma, stiamo parlando di una cultura della mobilità che in Italia si fa sempre più fatica a concepire; una visione  diversa, più economica e anche  ecologica. Eppure sempre più utopica dove imperano  ritardi e disagi quotidiani, specie quando gli autobus vetusti prendono fuoco. Soprattutto se ci si muove in città le cui aziende responsabili del trasporto pubblico affogano in debiti e interessi vari, anche perché gli incassi sono ridotti sia per l’evasione (quando rimetteranno il bigliettaio – controllore?) sia per tenere basso il prezzo dei biglietti. 

Siamo obbligati a realizzare una mobilità sostenibile. Lo vediamo negli effetti sull’ambiente   che da decenni inquiniamo  in maniera esasperata con l’uso spasmodico e giornaliero dei veicoli non condivisi. Economizzando sui mezzi di trasporto pubblico quando l’uso del mezzo privato costa molto di più al residente, anche se non paga i costi effettivi di uso della rete stradale perché non esiste il pedaggio sulle strade statali e comunali né è collegato alla congestione come già accade a Londra.  Usare il più possibile il trasporto condiviso è  una necessità di sopravvivenza; è un dovere verso la salute della collettività che non può essere solo considerato come un’alternativa.

Ovviamente il trasporto privato (personale o a noleggio) è indispensabile, per percorrere i tratti non serviti da mezzi pubblici. Quando i trasporti funzionano, la vita d’ogni giorno si semplifica. La Rete di trasporto pubblico è ben più semplice di internet, eppure su essa si investe poco, si progetta poco, si coordina poco, e il cliente è curato poco (perché le fermate non sono tutte adeguatamente protette, e magari con i servizi essenziali in ogni civiltà moderna, come la pedana per le carrozzine o il bagno pubblico?); se sono possibili le strade intelligenti (smart road) lo sono anche le linee di trasporto pubblico intelligenti. Il costo può essere sostenuto da coloro che ne diminuiscono l’efficienza: ogni mezzo di trasporto privato ha una efficacia peggiorativa quantificabile (in certe ipotesi) sul servizio di trasporto pubblico e sulla qualità dell’ambiente, si tratta solo di far sopportare i costi della soluzione a chi genera il problema.

Altro effetto positivo: la riduzione degli incidenti stradali. I conducenti dei mezzi pubblici hanno uno stile di guida, per varie ragioni, molto più pacato e attento alla sicurezza. Il numero dei morti in incidenti sui treni è niente rispetto ai morti in incidenti stradali, e anche lì i numeri si possono ridurre investendo in sicurezza.

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