Un milione e 700mila chilometri quadrati di deserto adagiati sul secondo giacimento di petrolio del continente africano, un territorio immenso squassato da conflitti piccoli e grandi, dominato da tribù rivali in perenne conflitto tra loro. E poi armi a non finire. Quelle sottratte agli arsenali dell’ex regime di Gheddafi. E quelle fornite più o meno sottobanco alle fazioni in lotta dalle potenze amiche: l’Egitto, la Turchia, il Qatar. E’ qui, nel pantano libico, che tentano di mettere radici gli uomini del califfato. Che in un video, quello che documenta la decapitazione di 21 egiziani copti, ripetono come un mantra: “Eravate abituati a vederci su una collina in Siria, ora siamo qui, a sud di Roma”. Hanno preso Derna, puntano su Sirte. A combatterli sul campo ci sono i caccia e i reparti speciali egiziani. Ma non basta. La linea delle cancellerie occidentali, al netto di fughe in avanti peraltro subito rientrate, è quella della diplomazia: pacificare il paese devastato dalla guerra civile e lasciare che sia la Libia a regolare i conti con gli uomini di Al Baghdadi. Il problema è nei tempi. Ne parliamo questa sera con il presidente del Centro Studi Internazionali Andrea Margelletti e con Francesco Grignetti, inviato della Stampa.
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